WiFi, tre modi per aumentare la copertura

Immagine di mohamed Hassan da Pixabay

Per chi come me vive in un appartamento di dimensioni contenute, il segnale della rete senza fili è più che sufficiente senza dover aggiungere niente. Mi sono capitati però di recente due casi che vi descriverò in cui è stato necessario espandere la copertura. Le soluzioni al problema non mancano e voglio proporvi tre di queste, ciascuna con pro e contro, che ho utilizzato nei miei due casi.

Innanzitutto, vediamo quali erano i problemi da risolvere:

  1. Due amiche condividono l’abbonamento con un’altra amica che vive nell’appartamento al piano di sotto, nel quale è posto il router fornito dalla compagnia telefonica. Il segnale arriva di sopra ma è debole, specie in salotto e nelle camere da letto, ove servirebbe di più;
  2. problema simile, ma nella stessa abitazione: una casa molto grande di tre piani in cui il segnale passa a stento da un piano all’altro poiché diviso da tanti muri e solette di cemento armato. Il router principale si trova nella mansarda perché i proprietari utilizzano una linea FWA (antenna sul tetto, in poche parole).

I due problemi appaiono simili, ma il fatto di dover espandere una rete all’interno della stessa casa o fra abitazioni diverse influenza parecchio la soluzione che adotteremo. Vediamo infatti cosa ci siamo inventati.

Soluzione 1: estensione di campo o ripetitore

La prima idea che ci viene in questi casi è quella d’installare un ripetitore, un apparecchio di piccole dimensioni che troviamo col nome commerciale di Range Extender. In verità fra ripetitore ed estensore dovrebbe esserci una differenza, ma dato che i termini sono usati spesso come sinonimi, la ignoreremo. Gli estensori creano una nuova rete, si connettono a quella principale e fanno da ponte fra le due. Si tratta di una soluzione economica, la cui efficacia dipende dalla qualità dell’apparecchio e dalla bontà del segnale principale nel punto in cui lo colleghiamo. L’abbiamo impiegata come soluzione per il problema A perché trovandoci su due diversi appartamenti c’era poca scelta. L’estensore è un TP-Link TL-WA850RE. Il risultato è accettabile per le inquiline dell’appartamento, ma la velocità della rete è decisamente ridotta (secondo una misura fatta nel pomeriggio in cui l’abbiamo messa in opera, con la rete originale si navigava su internet a 8Mbps, mentre con l’estensione si arrivava a circa 2Mbps) ed occorrerà fare diverse prove prima di trovare un punto ottimale che consenta un segnale forte che arrivi fino all’angolo della TV, che deve poter contare su una buona copertura perché si possa usufruire dei contenuti di piattaforme come Netflix .
Va anche detto che questa soluzione tende inevitabilmente ad amplificare quelli che sono i problemi intrinseci delle reti senza fili: interferenze, segnali che rimbalzano sugli ostacoli e dunque maggior latenza dovuta alla necessità di correggere gli errori non su una ma su due reti che devono trasportare il nostro segnale. Da questo punto di vista, la porta di rete Ethernet eventualmente presente sull’apparecchio dovrebbe avere un’efficienza maggiore e sarebbe una buona idea collegarvi il PC o la Smart TV. Per tutti i motivi che ho descritto, personalmente consiglio questi apparecchi solo come ultima spiaggia.

Soluzione 2: linea elettrica

Questa soluzione ha il gran vantaggio di sfruttare un cablaggio già presente in tutte le case: l’impianto elettrico. Il kit prevede due o più apparecchi di dimensioni molto ridotte: un dispositivo “genitore” da collegare con un cavo di rete al router principale ed a una presa elettrica nelle vicinanze ed uno o più “figli” da collegare dove vogliamo avere il segnale di rete. La comunicazione fra genitore e figli avviene inviando un segnale ad alta frequenza attraverso l’impianto elettrico. Questa soluzione ha il nome commerciale di Powerline e l’abbiamo impiegata per il caso B qualche anno fa per portare la rete dalla mansarda al piano terra. I modelli precisi sono la coppia Netgear AV500 (genitore) e XWN5001 (figlio). Agli inizi tutto ha funzionato regolarmente, anche perché allora in casa si faceva un uso molto modesto della rete. Col tempo è affiorato il problema numero uno di questo genere di apparecchi: la difficoltà di mantenere il segnale integro da un punto all’altro dell’impianto elettrico. Infatti questo è soggetto ad ogni genere d’interferenza causato da elettrodomestici, cellulari, eventi atmosferici, variazioni di tensione. Capitavano spesso interruzioni o che il dispositivo figlio segnalasse una connessione debole con l’accensione del LED giallo. Dopo aver valutato di acquistare un modello più recente e vedere se sarebbe cambiato qualcosa, siamo passati alla soluzione 3 per portare la connessione dalla mansarda al piano terra, mentre abbiamo riciclato questo dispositivo per aumentare la copertura nel primo piano della casa. È molto interessante che in questo caso la comunicazione fra i due capi abbia funzionato molto meglio, se consideriamo che il segnale deve compiere un percorso più lungo, dal momento che l’impianto è diviso in tre e fa il giro per il quadro elettrico al piano terra prima di passare dalla mansarda al primo piano. I misteri delle onde radio. È stato d’interesse osservarne il comportamento durante un temporale con oscillazioni di tensione forti abbastanza da abbassare per qualche istante la luminosità delle lampadine ma non da spegnere alcun apparecchio in funzione: il LED diveniva continuamente giallo a dimostrazione di quanto dicevo a proposito del problema di mantenere integro il segnale. Va notato che questa soluzione, quando funziona a pieno regime, è meglio della 1 ma non l’abbiamo potuta impiegare per il caso A perché i due appartamenti hanno impianti separati.

Soluzione 3: punti d’accesso

Questa è la più classica delle soluzioni: un punto d’accesso (Access Point o AP) collegato con un cavo di rete al router principale. Il cavo di rete ha innumerevoli vantaggi e continuerà ad essere per anni un’ottima soluzione perché economico, abbastanza sottile e flessibile da poter passare quasi ovunque e molto resistente alle interferenze. Inoltre, un singolo segmento può essere lungo fino a 100 metri ed offrire una velocità di 1Gbps. Ciò che mi ha convinto ad optare per questa soluzione è il fatto che quando la casa ha subito un restauro radicale anni fa è stato predisposta per un impianto telefonico completamente separato da quello elettrico, con le proprie scatole e le proprie prese. Abbiamo potuto sfruttarne i tubi per far passare il cavo di rete attraverso i muri e mettere una presa di rete al piano terra: lavoro di un paio d’ore con un risultato molto elegante. Per andare più sul sicuro, anche se forse non sarebbe stato necessario, abbiamo investito qualche soldo in più per utilizzare del cavo FTP, che è avvolto da una schermatura che lo rende più resistente alle interferenze. Alla presa abbiamo poi collegato il punto d’accesso ed il gioco era fatto. Si tratta per la precisione di un TP-Link AC1200 con cui mi sono trovato molto bene.
Mi sentirei di suggerire quando possibile questa soluzione, anche se negli edifici non predisposti richiede di far passare dei fili lungo i muri o dentro delle canalette, con risultati potenzialmente antiestetici.

Appendice: nome differente per ogni rete o stesso nome?

Come a chiunque si trovi ad estendere una rete, mi è sorta subito questa domanda: cos’è meglio, un nome (SSID) diverso per ogni estensione o lo stesso? I due approcci hanno vantaggi e svantaggi. Fino a qualche anno fa si suggeriva quasi sempre di usare nomi diversi per evitare conflitti fra le reti e per permettere di selezionare manualmente la rete migliore. Lo svantaggio evidente è che nel mio caso B avremmo la bellezza di tre reti da configurare su ogni dispositivo presente in casa, così ho deciso di provare ad utilizzare lo stesso nome e password e vedere come se la cavavano i dispositivi. Le tre reti si troveranno comunque su canali differenti, quindi il risultato dipende solo da come il dispositivo seleziona la rete a cui collegarsi. Devo dire che mi sono trovato bene: cellulari e computer si connettono automaticamente al punto d’accesso con segnale più forte ed essendo i tre segmenti separati da solette belle grosse non c’è quasi mai ambiguità su quale esso sia. Il problema viene per l’appunto quando quest’ambiguità c’è e in aggiunta i due segnali arrivano entrambi con un livello medio, perché c’è il rischio che il dispositivo salti da un punto d’accesso all’altro continuamente nel tentativo di connettersi al segnale più forte. Sarebbe un grosso problema soprattutto per applicazioni in tempo reale (telefonate e videoconferenze in primis), mentre con nomi differenti potremmo facilmente disattivare la connessione automatica ad una delle due reti ed evitare questa commutazione continua.
In definitiva, con nomi diversi andiamo più sul sicuro ma se riusciamo ad ottenere un segnale forte su tutti i punti di maggior impiego possiamo non scartare l’idea di usare lo stesso nome.

Conclusione

Ho volutamente ignorato altre soluzioni come Wireless Distribution System, amplificatori/booster, antenne ad alto guadagno, ecc, sia perché di stampo più professionale, sia perché più care o perché richiedono un livello di competenza maggiore. Chi volesse fare un investimento più importante per una soluzione ottimizzata potrebbe puntare sui Sistemi Mesh WiFi, che attraverso l’installazione di una stazione base e vari satelliti (di fatto, dei ripetitori) creano un’unica rete che copre superfici anche molto larghe. Purtroppo non mi è ancora capitato di provarne uno, quindi non posso recensirlo.

Fra le soluzioni proposte sicuramente la terza è la migliore, ma non sempre praticabile. In molti casi saremo costretti ad accontentarci di un’estensore che andrà bene per gli usi domestici a patto di trovare il punto ottimale in cui piazzarlo perché riceva bene il segnale e possa amplificarlo abbastanza da arrivare fin dove ci serve. La soluzione Powerline è buona per creare una rete entro un singolo impianto elettrico, ma bisogna vedere come si comporta nell’edificio in cui ci troviamo perché sensibile a diverse variabili.

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