Graffiti. Recensione del libro

Questo articolo è decisamente lontano dai temi che affronto normalmente. Tuttavia, l’argomento trattato nel libro in questione è a me caro, essendo il sottoscritto un ex writer, ed inoltre avevo promesso un commento agli autori del libro, quando avessi finito di leggerlo, e così sto mantenendo la parola. Per iscritto, perché sono molto più bravo a scrivere che a parlare, e in pubblico, perché mi fa piacere condividere le impressioni che una lettura mi lascia. Il libro è Graffiti, di Alessandro dal Lago e Serena Giordano, edito nel 2016 da Il Mulino. Sarà una recensione volutamente personale e soggettiva, sia per ciò che l’argomento rappresenta per me che a causa delle mie scarse conoscenze in campo artistico e politico, che renderebbero ridicola una mia eventuale pretesa di scrivere una recensione più “tecnica”.

La premessa

Avevo ancora 13 anni quando, mentre osservavo mio cugino disegnare un bozzetto, egli d’improvviso mi disse “Ale, ma perché non provi anche tu?”. La risposta mi parve ovvia: “perché non so disegnare”, così fu una sorpresa sentirmi rispondere “e che c’entra?”. Per questo ho un debito di riconoscenza verso l’arte del writing (e verso mio cugino. Grazie Gianluca!), perché il suo messaggio è chiaro: è per tutti, non solo per quelli che nascono con uno specifico “talento”, per quelli che prendono 10 in disegno e guardando il tuo foglio con espressione a metà fra ironia e compassione ti chiedono “quello è un gatto o un cavallo?”. Fino ad allora ero lo stereotipo del secchione: impacciato, silenzioso, malaticcio e bruttino. Disegnare mi ha fatto uscire dal guscio. Nonostante ciò, fare writing non è semplice. Ogni tipo di superficie richiede i giusti accorgimenti per un buon risultato, poi c’è la scelta della vernice, i tappini giusti per le bombolette, il tratto, le sfumature, ecc. Ma, peggio di tutto, nessuno si sogna di dire a uno che dipinge come Michelangelo che sta sciupando tempo e denaro. Quando hai sottomano un foglio con un graffito in wild style, ecco invece che sei uno che butta soldi per pasticciare l’altrui proprietà, col rischio di far arrivare i carabinieri a casa. Questi sentimenti sono pienamente presi in esame dal libro in questione, tanto che la prima sensazione, già dalle prime pagine, è la dolce rivincita di quel tredicenne ormai cresciuto che non dimentica le ammonizioni di suo padre verso quella condotta così insolita per il bravo bambino, né la sua bonaria ironia per il fatto che arrivai a 16 anni senza sapere cosa fosse La Pietà (e qui la pietà la chiedo io: ho studiato informatica).

Il libro

Trovare un aggettivo per questo libro non è facile. È l’opera di due autori che non solo leggono tanto, ma si fermano per la strada a parlare con le persone ed ascoltare quello che hanno da raccontare. Ma soprattutto, non hanno problemi ad andare controcorrente. Il prof.Dal Lago, ad esempio, è già autore di un testo critico su Saviano che ha generato un acceso dibattito e la d.ssa Giordano, fra le altre cose, promuove l’invito a “disimparare l’arte” anziché adulare acriticamente quelli che sono considerati i grandi artisti della storia.

Il libro, oltre ai doverosi cenni storici sulla storia del writing coi suoi protagonisti ricercati sin nella preistoria, si sofferma su vari conflitti di quest’ultimo con una serie di aspetti della vita di ogni giorno:

  • il decoro urbano. I graffiti deturpano la città? Tutti? Ce ne sono di belli? Se sì, come si distingue il graffito bello dall’opera di vandalismo? Perché alcuni comuni si vantano dei propri graffiti ed altri spendono decine di migliaia di Euro o ingaggiano volontari per cancellarli?
  • L’arte. I graffiti sono opere artistiche o aridi scarabocchi? Chi decide cos’è arte? Qual è il confine?
  • La proprietà privata. Fin dove è lecito difenderla? E difenderla da cosa? Se i graffiti sono lavori artistici, ha precedenza l’arte o la proprietà? Il concetto cambia se il lavoro artistico è valutato con cifre a sei zeri?
  • La società. Chi disegna sui muri è un disadattato? Commetterà per certo altri reati? Dobbiamo proteggere i nostri figliuoli da questa pratica? Insegnar loro l’idea che graffito sia sinonimo di degrado e sporcizia è buona educazione o plagio?
  • L’autorità. Perché dipingere illegalmente una superficie anziché chiedere il permesso? Quanto si dovrebbe essere severi nei confronti di un pasticciatore seriale? Un dialogo è possibile? Se sì, è desiderabile?
  • I soldi. Il writing può diventare un mestiere? Se sì, è un bene? Un writer pagato per esporre le opere è uno che ce l’ha fatta o un venduto? Chi decide quale opera vale e quanto vale? Davvero qualsiasi cosa possa venirci in mente diventa buona solo se può essere convertita in moneta?
  • Pubblicità e propaganda. La divisione in pro-graffiti e anti-graffiti può essere subdolamente sfruttata per manipolare l’opinione pubblica?
  • La politica. Che messaggio si nasconde dietro un graffito? Può il writing essere una forma di satira o di vera e propria lotta? Quali sono i precedenti?

Quest’ultimo punto è stato in particolare per me uno spunto di riflessione già dopo la lettura delle prime pagine, perché né io né i miei amici avevamo dato alcun significato speciale a quello che facevamo. Semplicemente, ci piaceva e ci rendeva soddisfatti. È stata la coautrice stessa del testo a farmi notare che abbracciare una forma d’arte considerata dai più opera di vandalismo, andando contro un pensiero normalizzato della società e della famiglia è di per sé una scelta politica. Se devo essere sincero, inizialmente non ero tanto convinto di questa visione. Andare avanti con la lettura del libro ha reso il concetto più chiaro.
Lo stile del libro è semplice, scorrevole e ricco d’una certa ironia. A rendere la lettura più piacevole e a completare il quadro, vi sono simpatici aneddoti, anche vissuti in prima persona e note biografiche di vari artisti. Alcune immagini, in particolare un inserto a colori, aiutano a capire meglio gli esempi portati dai due autori. Non manca una mole di citazioni e riferimenti bibliografici, utili per chi decidesse di approfondire la ricerca.

Conclusioni

Questo è un libro per tutti. Che il lettore sia in qualche maniera un “addetto ai lavori” o un profano completo, che ami i graffiti, che li odi o che sia del tutto indifferente, può immergersi per qualche ora nella lettura di questo saggio e magari cogliere l’occasione per vedere l’intera questione da un punto di vista diverso. Faccio i miei complimenti agli autori e auguro loro buon lavoro per i loro progetti presenti e futuri.

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